Il Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) è un disturbo del neurosviluppo che interferisce nell’apprendimento delle principali abilità accademiche, come lettura (DISLESSIA), scrittura (DISGRAFIA e/o DISORTOGRAFIA), calcolo (DISCALCULIA), con conseguenze importanti anche di tipo relazionale, emotivo e sociale.
Quando non c’è il riconoscimento delle difficoltà specifiche con una diagnosi precoce i vissuti dei bambini e ragazzi con DSA possono variare intorno a:
- bassa autostima e senso di inadeguatezza;
- demotivazione e scarso interesse verso le attività didattiche ed extra-scolastiche;
- rabbia e atteggiamenti oppositivi e provocatori;
- somatizzazioni del disagio vissuto.
Sembra quasi inevitabile per i bambini DSA, che affrontano lunghi e difficili percorsi scolastici senza la consapevolezza delle proprie difficoltà, fare i conti con una bassa autostima e scarsa fiducia in se stessi. Spesso il mettersi a confronto con gli altri compagni attiva sentimenti di vergogna, ansia e insicurezza. Capita che alcuni bimbi risolvano il loro disagio evitando proprio le interazioni con gli altri, arrivando all’ isolamento volontario. Delle volte invece ci si trova davanti ad un isolamento quasi forzato, conseguente ad atti di bullismo di cui i bambini DSA sono delle volte vittime.
Ma proviamo a metterci nei loro panni e immaginiamo la loro quotidianità. Passano la maggior parte della giornata in un contesto in cui viene loro richiesto di svolgere dei compiti: a scuola (830-1630) e fuori (compiti a casa). Nella scuola vengono proposte attività che vivono come troppo complesse e astratte rispetto alle loro possibilità, e osservano che, invece, la maggior parte dei compagni sembra inserirsi bene o con poche difficoltà nelle attività proposte ottenendo buoni risultati. Sono esposti spesso a delle continue sollecitazioni da parte degli adulti di riferimento (insegnanti, parenti…) che esprimono frasi come : “stai più attento”, “impegnati di più”, “hai bisogno di esercitarti molto”, “non ti applichi abbastanza, non c’è altra spiegazione”, “non hai voglia”…
Se non adeguatamente riconosciuti e compensati, in breve tempo, possono vivere un forte vissuto di inadeguatezza, poiché giorno dopo giorno, si trovano a fare i conti con le loro difficoltà senza apparentemente poterci fare nulla.
Il risultato di solito è che non investono su loro stessi perché hanno uno scarso senso di auto-efficacia, rinunciando spesso per vergogna e alla fine ottenendo un livello di funzionamento inferiore rispetto alle loro potenzialità.
I bambini e i ragazzi possono trovarsi a fare i conti con quella che viene definita “impotenza appresa”. Si tratta di una teoria elaborata dallo psicologo Martin Seligman. Secondo la teoria, sulla base di alcuni esperimenti effettuati su alcune cavie di laboratorio, si può riscontrare come alcuni soggetti posti continuamente in condizioni sulle quali ritengono di non potere in alcun modo intervenire per controllarle e modificarle, tendono a sviluppare un senso di impotenza che può anche estendersi oltre l’evento specifico sperimentato.
Nel suo esperimento, il dottor Seligman aveva scoperto che un animale sottoposto ripetutamente a una scossa elettrica, senza alcuna possibilità da parte sua di evitarla, una volta messo nelle condizioni di poter fuggire dalla gabbia per evitare la scossa, non lo faceva. In pratica, l’animale aveva appreso che la situazione negativa era inevitabile e non dipendeva dal suo comportamento, per cui anche quando effettivamente poteva fuggire dalla situazione di pericolo, non faceva nulla per sottrarsi ad essa.
Con alcune varianti, l’esperimento fu esteso anche agli esseri umani. L’esito dell’esperimento fu lo stesso. L’impotenza appresa quindi è uno stato mentale in cui apprendi che non può essere fatto nulla per controllare o migliorare una data situazione. Il risultato è che non provi nemmeno a far nulla per cambiare la situazione che non ti sta più bene.
L’individuo spesso, in queste condizioni, incolpa sé stesso della situazione in cui si trova e dà un giudizio non modificabile di incapacità globale di sé. Talvolta il disagio è così elevato da annullare il soggetto ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura.
Così ci si può trovare di fronte ad un bimbo che si rifiuta di leggere (se è dislessico), di scrivere (se è disgrafico) o che in generale evita tutte quelle attività che per gli altri sono semplici e automatiche. Sentiremo frasi come: «Ho studiato tutto il pomeriggio, ma ho preso un brutto voto. E’ inutile che studi!»
Iniziano così a pensare di essere stupidi e incapaci. Alcuni vanno su un versante depressogeno che porta, come abbiamo detto, alla rinuncia e al ritiro, mentre altri invece reagiscono al disagio con la rabbia. In questi casi ci troveremo di fronte a comportamenti provocatori ed un costante atteggiamento oppositivo. Sembra che per questi bambini sia meglio, o forse meno peggio, essere considerati indisciplinati o svogliati piuttosto che incapaci e stupidi.
Ci sono poi quei bambini che non permettendosi di esprimere questo disagio in nessun modo, si ritrovano a fare i conti con manifestazioni psicosomatiche. Non ci sono parole per poter dire il proprio malessere ma è direttamente il corpo, attraverso cefalee, mal di pancia, insonnie o simili, a narrare il livello alto di stress.
Ma cosa possiamo fare?
Di fondamentale importanza nelle storie dei bambini o ragazzi DSA sono quegli adulti di riferimento (genitori o insegnanti) vicini al bambino, che si rendono conto delle difficoltà che attraversa e che si attivano per capire con lui cosa fare. E’ un primario fattore di protezione, infatti, in queste situazioni, avere qualcuno vicino, che non ti lasci solo ad affrontare dubbi e difficoltà, che ti sostenga e che ti rinforzi su tutti quegli aspetti in cui invece si è bravi (sia attività scolastiche che extra-scolastiche).
Una diagnosi precoce chiaramente permetterà di intervenire tempestivamente, migliorare la prognosi del disturbo e ridurre al minimo eventuali effetti del disturbo sulle variabili psicologiche, emotive e motivazionali. L’équipe che prenderà in carico la diagnosi dovrà lavorare affinché si crei una vera e propria rete tra famiglia e scuola.
E’ poi basilare rendere pienamente comprensibile ai bambini cos’è un DSA e cosa comporta. Comunicare la diagnosi di DSA ai bambini ha come prima funzione quella del riconoscimento. Si aprirà un percorso di consapevolezza delle proprie difficoltà, ma soprattutto della propria intelligenza e delle proprie risorse. I bambini impareranno a gestire meglio le proprie difficoltà e a sopperirle con gli strumenti compensativi e dispensativi. Impareranno soprattutto ad accettarsi e a credere in sé stessi.
E’ auspicabile infine che nelle scuole si inizi a parlare di DSA con tutti, anche con i bambini che non hanno questo problema, per debellare i soliti stereotipi e pregiudizi e per iniziare a lavorare, anche con gli insegnanti, su quella didattica inclusiva che prevede il lavoro con le specificità, rafforzandole e non negandole.
scritto dalla Dottssa Luisa Sale